Esperto di asset digitali, avverte che l’intelligenza artificiale non è una moda passeggera, ma la nuova infrastruttura su cui sarà costruito l’intero sistema finanziario. In questa intervista spiega come gli algoritmi gestiscano già la maggior parte del volume a Wall Street, quale impatto avranno sulla tokenizzazione degli asset e quali sono i rischi e le opportunità che sia i professionisti che gli investitori al dettaglio devono tenere d’occhio.
Vedi un futuro in cui i gestori di fondi saranno sostituiti da algoritmi?
Senza dubbio siamo di fronte a un cambiamento enorme. Per fare una metafora, negli anni ’80 l’arrivo del terminale Bloomberg ha rivoluzionato la finanza. Perché? Perché concentrava tutte le informazioni in un unico posto, accelerando le decisioni e trasformando il modo di investire. Lavoravo nel settore bancario e ricordo che i clienti già chiedevano: “Questo è su Bloomberg?”. Non era solo uno schermo, era un cambiamento culturale.
L’intelligenza artificiale sta seguendo lo stesso percorso, ma moltiplicato per diecimila. Anche se sembra un software di produttività, in realtà sta riorganizzando il modo in cui funzionano le aziende, come vengono valutati gli asset e come si muove il capitale. Bloomberg ha aperto le porte all’automazione; l’IA, invece, sta diventando l’infrastruttura di base su cui tutto funziona. Non ci saranno finanza, aziende o modelli di business senza intelligenza artificiale.
Nel caso specifico dell’analisi finanziaria, l’IA consente di elaborare volumi di informazioni impossibili per un essere umano, di individuare modelli invisibili nei modelli classici e di generare valore in nuove forme di analisi. Ad esempio, mi sono formato nella creazione dei miei GPT, ma non li alimenti dalla rete, bensì con dati verificati. Nel mio caso, utilizzo tutte le conoscenze di Warren Buffett affinché il mio modello analizzi le aziende con criteri di value investing. Questo fa la differenza: non si tratta di utilizzare l’IA generica, ma di creare sistemi con dati unici, ben etichettati e governati.
Sostituirà i gestori? Sì, in gran parte. Molti parlano di un cambiamento di ruolo, dal passare dall’essere stock picker a supervisori di macchine. Ma la realtà è che il 70% del volume negli Stati Uniti è già nelle mani degli algoritmi. Ciò che verrà è una maggiore precisione, velocità, governance dei dati, eliminazione delle emozioni… È una vera e propria rivoluzione.
E quale ruolo può svolgere l’intelligenza artificiale nella tokenizzazione degli asset?
Qui lo vedo più come un processo di ottimizzazione. L’IA aiuta in tutte le fasi: dalla valutazione iniziale di un token alla gestione della liquidità. Aziende come Wellington Management stanno già applicando l’IA nella conformità normativa, perché consente di snellire i flussi di lavoro in modo sicuro e senza errori.
In pratica, l’IA automatizza processi come il KYC, la verifica dei dati, l’integrazione degli oracoli o il pricing in tempo reale. Può anche generare automaticamente smart contract: dai pagamenti dei dividendi ai trasferimenti di proprietà o alla conformità normativa. Tutto ciò riduce gli errori umani e accelera l’emissione dei token. Inoltre, grazie all’analisi predittiva e alla gestione avanzata della liquidità, la tokenizzazione sarà sempre più efficiente e trasparente.
Per gestire tutto questo volume di dati, la blockchain è indispensabile?
La blockchain garantisce sicurezza e tracciabilità, e questo non è un aspetto secondario. Oggi la metà dei dati che circolano può essere falsa o di provenienza dubbia. Una rete distribuita può certificarne l’origine, l’integrità e la proprietà, riducendo la manipolazione e rafforzando la trasparenza.
Inoltre, la tokenizzazione dei dati stessi consente di utilizzarli senza bisogno di spostarli, portando il modello al dato invece di condividere informazioni sensibili. La sfida è che tutto questo sia scalabile, rispetti la privacy e non sia troppo costoso da gestire.
L’intelligenza artificiale nella cripto, nella DeFi e nel trading algoritmico rappresenta più opportunità o più rischi?
Entrambe le cose. L’IA aggiunge un livello di efficienza incredibile: moltiplica la velocità e la precisione nel trading algoritmico e ottimizza i processi nella DeFi, dai bot di liquidazione alle strategie su più catene.
Ma amplifica anche i rischi: flash crash che si autoalimentano, saturazione delle strategie perché tutti i modelli utilizzano gli stessi segnali, o persino attacchi che manipolano gli algoritmi. Ci sono luci e ombre.
Al momento l’IA è sviluppata solo da una manciata di grandi aziende tecnologiche. Esiste il rischio di concentrazione del potere?
Assolutamente sì. Prima parlavamo delle grandi banche come di quelle che controllavano il sistema. Ora sono le aziende tecnologiche, e il rischio di centralizzazione è molto reale. Lo stiamo vedendo nei mercati: i Magnificent Seven negli Stati Uniti concentrano gran parte dello sviluppo dell’IA. Questo replica le asimmetrie del mondo finanziario.
Per concludere, che consiglio daresti a un investitore al dettaglio che vuole sfruttare l’intelligenza artificiale nei suoi investimenti?
La prima cosa è non lasciarsi trasportare dalla FOMO. L’IA non è un concetto vuoto: bisogna analizzare come influisce sui settori e sulle aziende specifiche. Migliora i margini? Rafforza i vantaggi competitivi? Richiede molti investimenti nell’informatica? Questa è la chiave.
Ricordate cosa è successo con Terra durante la bolla di Internet: bastava annunciare un sito web perché le azioni salissero alle stelle. Non possiamo ripetere quell’errore.
L’investitore deve diversificare: investire sia in aziende che forniscono l’infrastruttura (chip, informatica, dati) sia in quelle che sviluppano software con capacità di fissare i prezzi. E se si entra nel mondo delle criptovalute o della DeFi con l’IA, è necessario comprenderne molto bene i meccanismi.
Alla fine, la ricetta è la stessa di sempre: disciplina, ribilanciamenti, gestione del rischio e diffidenza nei confronti delle narrazioni di moda prive di fondamento.