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«La perla dell’Africa»: dal protettorato all’indipendenza

Nel 1907, Winston Churchill definì il territorio ugandese “la perla dell’Africa” dopo un viaggio attraverso l’allora protettorato britannico – il Paese ottenne l’indipendenza nel 1962 – in qualità di sottosegretario di Stato per le Colonie. Tre decenni prima di diventare primo ministro britannico, Churchill descrisse la bellezza naturale e l’affabilità della sua gente nel libro Il mio viaggio in Africa. Senza nulla a che vedere con le attuali facilità di visita dell’Uganda, quel lungo e scomodo viaggio potrebbe essere considerato «di lusso» rispetto alle spedizioni del XIX secolo, quelle che cercavano di svelare fino all’ultimo mistero della mappa africana. Una delle più famose, quella che svelò l’enigma delle sorgenti del Nilo, terminò nel grande lago Vittoria, il più grande del continente africano e ora condiviso da tre stati: Uganda, Kenya e Tanzania.

Dove nasce il Nilo: viaggio alla fonte del leggendario fiume

Sulla sponda ugandese si trova la città di Entebbe, con un piacevole giardino botanico e l’unico aeroporto internazionale del paese. Si trova a 40 km da Kampala, la capitale dell’Uganda, e a circa tre ore da Jinja, la città più vicina al punto che l’esploratore inglese John Hanning Speke indicò come l’origine del Nilo. Durante un primo viaggio, nel 1858, Speke dedusse che il fiume nasceva dal grande lago, ma solo durante la sua seconda incursione, nel 1862, riuscì a individuare con precisione il luogo di nascita.

Ancora oggi, raggiungere le sorgenti del Nilo rimane un traguardo importante, un momento emozionante. È impressionante pensare che, per arrivare fin qui, Speke abbia dovuto percorrere a piedi centinaia di chilometri, superare malattie, subire attacchi da parte degli indigeni e scontri con i mercanti di schiavi. Altri esploratori, tra cui Richard Burton, compagno di spedizione di Speke, ci hanno provato senza successo.

Le cascate Ripon, il punto esatto che il britannico indicò come inizio del Nilo, furono sommerse da una diga costruita nel 1954. Oggi, un semplice cartello, una statua dell’esploratore e alcune gite in barca ricordano la scoperta. Jinja non è più un luogo remoto, ma conserva il carattere avventuroso di un tempo nelle attività offerte al viaggiatore: una teleferica sul fiume, kayak, bungee jumping e, soprattutto, rafting grazie alle rapide che si susseguono in questo tratto fluviale.

Il fragore di Murchison

Il Nilo prosegue verso nord in direzione del lago Kyoga e poi continua verso il lago Alberto. Prima di sfociare in quest’ultimo, il mitico corso d’acqua forma una delle cascate più spettacolari dell’Africa a poco più di 300 km da Jinja: le cascate di Murchison. La corrente precipita da un’altezza di 45 metri dopo aver attraversato un imbuto roccioso largo meno di 10 metri. È una lotta titanica tra la tenacia dell’acqua, determinata ad aprirsi un varco a tutti i costi, e la robustezza della roccia, pronta a impedirglielo. La cascata e i suoi dintorni fanno parte del Parco Nazionale Murchison Falls, la riserva più estesa e più antica del paese. Nelle zone di savana vivono leoni, leopardi, elefanti, giraffe e antilopi; nella foresta di Budondo, scimpanzé, babbuini e colobi dal manto bianco e nero.

Per goderne appieno è indispensabile risalire in barca la corrente, tranquilla dopo la cascata e animata da decine di ippopotami, coccodrilli, uccelli… Di nuovo sulla terraferma, un breve sentiero sale alla parte alta delle cascate, dove lo spettacolo diventa grandioso sotto il fragore dell’acqua e gli spruzzi, creando arcobaleni in un ambiente di intenso verde. Neanche nel suo miglior romanzo, lo scrittore americano Ernest Hemingway avrebbe potuto immaginare che in questo luogo magico si sarebbe verificato un doppio incidente aereo nel gennaio 1954. Prima si guastò l’aereo con cui stavano sorvolando le cascate e poi quello che era andato a soccorrerli. Nessuno morì, ma lui e sua moglie rimasero gravemente feriti.

La biodiversità del lago Alberto

Una volta superate le cascate, il Nilo, ormai mansueto, si riversa nel lago Alberto, al confine occidentale dell’Uganda e condiviso con la vicina Repubblica Democratica del Congo. Da qui, il grande fiume prosegue il suo lungo corso verso nord come Nilo Bianco per attraversare l’Egitto fino a raggiungere il Mediterraneo. Lungo il percorso, questo immenso torrente multinazionale bagna le terre dell’Uganda, del Sud Sudan e del Sudan, nella cui capitale, Khartoum, riceve le acque del Nilo Azzurro, che nasce nel lago Tana in Etiopia.

Proprio nella direzione opposta, verso sud, e anch’esso confinante con la Repubblica del Congo, si estende il lago Edoardo. Entrambi, insieme ad altre grandi masse d’acqua dolce con cui sono perfettamente allineati, come il Tanganica nella vicina Tanzania o il Malawi nell’omonimo paese, formano il confine occidentale della grande faglia del Rift, quell’immensa crepa che, estendendosi per quasi 5.000 km da Gibuti al Mozambico, finirà per dividere l’Africa in due.

All’interno del Parco Queen Elizabeth

Ma in attesa che ciò accada, sulle acque dell’Eduardo si affaccia il Parco Nazionale Queen Elizabeth, una delle aree naturali più visitate del paese e scenario ideale per godersi un safari alla ricerca dei grandi mammiferi africani. Dei cosiddetti big five (elefante, leone, bufalo, leopardo e rinoceronte), quattro possono essere avvistati qui. Manca il rinoceronte, purtroppo scomparso in Uganda negli anni ’80 e che oggi può essere visto nella Riserva Naturale di Ziwa, vicino alle cascate Murchison, grazie a un programma di reintroduzione e a percorsi a piedi.

Il caso di questo grande erbivoro non è unico. Gli scontri militari dal colpo di stato del dittatore Idi Amin nel 1971 fino alla metà degli anni ’80 con la fine della guerra civile hanno avuto enormi conseguenze per tutto il paese, e la fauna non ha fatto eccezione. Fortunatamente, gli ultimi decenni hanno visto un’importante ripresa sia dell’economia nazionale che degli spazi naturali.

Kazinga, un canale pieno di vita

Per verificarlo basta navigare sul canale di Kazinga, una via d’acqua ricca di vita che collega i laghi Eduardo e George ed è una delle grandi attrazioni del parco Queen Elizabeth. In lontananza si intravedono alcune pietre arrotondate che spuntano dall’acqua. O almeno così sembra da lontano, ma quando la barca si avvicina, le presunte rocce iniziano a muoversi: decine di ippopotami spuntano la testa dall’acqua per curiosare, aprendo le loro grandi bocche e mostrando i loro potenti zanne. Questi giganti convivono pacificamente con enormi coccodrilli che, immobili sulla riva, si godono il sole.

Il percorso in barca lungo il canale Kazinga permette anche di osservare animali non acquatici. A pochi metri dalla riva, vediamo un becco a scarpa, uno degli uccelli più ricercati dagli appassionati di avifauna. Passa quasi inosservato, nonostante sia alto più di un metro: il suo piumaggio grigio e la sua enorme immobilità mentre aspetta le prede tra la vegetazione gli conferiscono un perfetto camuffamento. Una volta scoperto, colpisce per le sue dimensioni e per il suo becco estremamente robusto e sproporzionato. Molto più aggraziata è la gru coronata, l’uccello nazionale dell’Uganda, un’altra perla per gli ornitologi. La sua figura slanciata, il piumaggio grigio e bianco, una bella cresta arancione e due vistosi punti rossi sulla fronte e sul collo la rendono inconfondibile in questo paesaggio.

Ishasha e i leoni arrampicatori

Nel settore Ishasha del Queen Elizabeth National Park vivono alcuni leoni famosi per la loro abitudine di arrampicarsi sugli alberi, cosa piuttosto insolita per i loro simili. Sfuggire agli insetti attivi a livello del suolo, scrutare meglio le prede o esporsi maggiormente alla brezza per rinfrescarsi… potrebbero essere alcune delle ragioni, anche se non si sa con certezza.

Prima di lasciare il parco, i visitatori sono invitati a calpestare, letteralmente, la linea immaginaria dell’Equatore, poiché l’Uganda, come altri dodici paesi, è attraversato da quella linea continua che divide il mondo in due emisferi. E, per la cronaca, un semplice monumento e una linea dipinta sul terreno sono la cornice perfetta per la foto che immortalerà il momento.

I “lunatici” monti Rwenzori

Essendo situato sulla linea equatoriale, il territorio ugandese gode di un clima tropicale,anche se molto mitigato dall’altitudine, poiché questa nazione di oltre 250.000 km2 e quasi 50 milioni di abitanti sorge su un altopiano la cui altitudine media è di circa 1.100 m. Spicca in modo particolare, a sud-ovest del paese, la spettacolare catena montuosa del Rwenzori che, con la sua vetta Margherita a 5.109 m, è uno dei sistemi più alti del continente. Identificate come le leggendarie Montagne della Luna, dove Tolomeo e altri geografi dell’antichità collocavano le sorgenti del Nilo, le loro cime, i loro pendii e le loro valli sono una famosa meta di trekking.

La maggior parte dei percorsi nel Parco Nazionale dei Monti Rwenzori durano quattro o cinque giorni, presentano un dislivello considerevole e richiedono una buona forma fisica. Le escursioni salgono lungo pendii dove crescono lobelie e giganteschi cespugli di erica fino a colline innevate, laghi e cascate. Il tutto favorito da una nebbia spesso in agguato e da abbondanti piogge. Anche la fauna locale è molto varia e comprende una moltitudine di uccelli, come il colorato turaco del Rwenzori, i leopardi sfuggenti, gli elefanti della foresta, i colobi che, con il muso incorniciato da una pelliccia bianca, si lasciano vedere mentre saltano da un albero all’altro… e gli scimpanzé.

Alla ricerca degli scimpanzé a Kibale

Vedere questi ultimi – i nostri parenti animali più vicini, con cui condividiamo il 98% del codice genetico – sarà più facile nel Parco Nazionale della Foresta di Kibale. Prima di iniziare la marcia, le guide forniscono le indicazioni necessarie affinché la visita abbia il minor impatto possibile sull’ambiente e sugli scimpanzé stessi, che condividono l’habitat con altre dodici specie di primati e numerosi uccelli.

Il percorso inizia ancora di notte, ma sarà proprio all’alba che un fruscio di rami ci allarmerà. Sporgendo dalla cima di un albero di circa 15 metri, una grande sagoma nera e pelosa si staglia contro un cielo già rosa per l’alba. Dopo essersi stirato, scende dal tronco con grande agilità. La prima cosa che colpisce è la sua taglia, poiché un maschio di scimpanzé in posizione eretta può superare i 1,60 metri di altezza; le femmine sono leggermente più basse. Presto compaiono altri scimpanzé, poiché vivono solitamente in grandi gruppi. Si rimane stupiti dall’abilità di un giovane maschio nel tenere un bastone e giocare con una formica, dalla destrezza con cui una femmina incava la mano per raccogliere l’acqua da una pozza o dal modo in cui, senza alcun pudore, un cucciolo si mette le dita nel naso per poi “assaggiare” ciò che vi trova. Questi animali deliziano il loro palato principalmente con frutta e piante diverse, anche se non disdegnano gli insetti o la carne.

All’incontro con i gorilla nella foresta impenetrabile di Bwindi

Ci resta ancora il gran finale del viaggio: l’incontro con i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei). Se Winston Churchill disse che l’Uganda era la “perla dell’Africa”, il grande gioiello dell’Uganda è andare alla ricerca del primate più grande del mondo. Certo, come ogni gioiello che si rispetti, il suo valore è salito alle stelle: fino a 800 euro per il permesso di trascorrere un’ora con i gorilla. È certamente una follia, ma che follia straordinaria! È un privilegio trovarsi a breve distanza da un animale di cui rimangono meno di 900 esemplari e farlo, inoltre, in un angolo del pianeta dove convergono Uganda, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo.

Ci sono quattro luoghi in Africa dove è possibile osservare i gorilla nel loro habitat. Tre si trovano nella regione di confine dei monti Virunga e ciascuno appartiene a uno dei paesi citati; in territorio ugandese si trova il santuario di Mgahinga. Il quarto si trova anch’esso in Uganda ed è la Foresta Impenetrabile di Bwindi. Dopo aver valutato tutte le opzioni, abbiamo deciso di visitare questa foresta dal nome misterioso.

Ancora una volta, dopo le istruzioni del caso da parte della guida che accompagnerà il gruppo, ha inizio lo spettacolo. All’inizio il sentiero è facile, ma poi diventa sempre più complicato. La vegetazione è sempre più fitta e lascia penetrare a malapena la luce del sole. Passa un’ora, poi due… alla terza ora la stanchezza comincia a farsi sentire e compare un certo scoraggiamento.

All’improvviso, la guida si ferma e indica una piccola figura nera e pelosa mimetizzata tra il verde. È un bellissimo cucciolo che gioca con i rami. Sempre vigile, sua madre irrompe dalla boscaglia per avvertire che la sua piccola non è sola. Una volta chiarito tutto, torna alla sua attività preferita: mangiare. Non a caso, per mantenere un corpo che può raggiungere 1,80 m di altezza e 200 kg di peso nei maschi, un po’ meno nelle femmine, ci vogliono ore. E ancora di più se la dieta è quasi esclusivamente vegetariana, poiché i gorilla si nutrono di foglie, steli, frutti, radici e, solo occasionalmente, mangiano larve o qualche insetto.

Al di là della scena dell’allevamento, altre femmine e alcuni maschi giovani si dedicano alla stessa attività con la stessa concentrazione fino a quando entra in scena il maschio dalla schiena argentata. La sua apparizione inaspettata e imponente spaventa, ma non fa alcuna dimostrazione di forza, al contrario, passa accanto a noi con totale indifferenza. Poi strappa un pugno di foglie e si sdraia per assaporarle. Così, sdraiato, non ha più un aspetto feroce, ma sembra piuttosto un gigantesco peluche con occhi teneri e 200 chili di placidità. «È quasi umano», commenta qualcuno. E, in verità, dopo aver visto queste creature nel loro habitat naturale e aver osservato i loro gesti, non c’è alcun dubbio: Darwin aveva ragione!

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