Il lavoro, pubblicato su AGU Advances e recentemente divulgato su Phys, ha utilizzato immagini satellitari per offrire una radiografia inedita dell’impronta ambientale dei centri urbani. Gli scienziati hanno analizzato i dati di luoghi come Seoul, New York, Los Angeles, Rotterdam, Chicago, Tokyo, Nuova Delhi, Houston, Città del Messico, Calcutta, San Paolo, Dubai, Roma, Rio de Janeiro, Buenos Aires e Toronto, tra gli altri. Sebbene non abbiano stilato una classifica, hanno lasciato questo risultato: “Tra queste città, Tokyo, in Giappone, mostra le emissioni più elevate, mentre Rotterdam, nei Paesi Bassi, quelle più basse”. Vediamo come sono giunti a questa conclusione e quali altri dati hanno trovato.
Quali differenze hanno riscontrato gli scienziati tra i dati satellitari e gli inventari urbani?

Il team indica nel documento che le misurazioni satellitari dello strumento OCO-3 della NASA mostrano differenze rispetto agli inventari convenzionali, soprattutto in alcuni continenti. Secondo gli autori, “le stime ascendenti tendono a sovrastimare le emissioni nelle città dell’Asia centrale orientale e dell’Asia meridionale e occidentale, mentre tendono a sottostimarle in Africa, Asia orientale e sud-orientale, Oceania, Europa e Nord America”.
Le stime ascendenti sono calcolate sulla base di dati concreti sulle attività umane, come l’uso di combustibili, il consumo di energia o la produzione industriale in una città. Sommando questi dati e applicando fattori di emissione specifici, gli scienziati ottengono un valore totale delle emissioni per quel luogo. Questo metodo è ampiamente utilizzato negli inventari ambientali convenzionali.
L’analisi collega parte degli squilibri all’età dei fattori di emissione e alla risoluzione spaziale limitata di molti inventari. Secondo i dati riportati, le emissioni combinate delle città studiate riflettono 1.735 milioni di tonnellate metriche di CO₂, “che si collocano tra le emissioni annuali della Russia e del Giappone, rispettivamente il quarto e il quinto paese con le maggiori emissioni”.
Lo studio confronta anche: “Le città del Nord America emettono 0,1 chili di CO₂ per ogni dollaro di produzione economica, mentre le città africane emettono 0,5 chili di CO₂ per ogni dollaro”. Questo risultato riflette che i centri urbani con un maggiore sviluppo economico producono meno emissioni per unità economica rispetto a quelli con redditi inferiori, secondo gli autori.
Il lavoro presenta inoltre una relazione inversa tra la densità di popolazione e le emissioni pro capite. Gli autori sottolineano che “le emissioni pro capite diminuiscono quanto più popolata è la città, da 7,7 tonnellate di CO₂ per persona nelle città con meno di 5 milioni di abitanti a 1,8 tonnellate per persona nelle città con più di 20 milioni di abitanti”. In questo modo, le città più grandi mostrano una maggiore efficienza climatica per individuo.
Nell’analisi, i ricercatori hanno confrontato i risultati delle misurazioni satellitari con i valori di due database internazionali ampiamente utilizzati per stimare le emissioni: EDGAR e ODIAC. Questi sistemi calcolano le emissioni sulla base delle informazioni relative al consumo di combustibili e all’attività economica nelle città.
Lo studio mostra che, in 25 delle città analizzate, i dati provenienti da questi inventari coincidono con il margine di errore delle misurazioni effettuate via satellite. Tuttavia, quando si osserva ogni città separatamente, emergono grandi differenze: in media, i valori di EDGAR si discostano del 45% e quelli di ODIAC del 50% da quelli rilevati dal satellite. Gli autori sottolineano che il totale globale sembra corretto solo perché gli errori in alcune regioni sono compensati dagli errori in altre, ma non perché tutti i dati siano precisi città per città.
Come sono state misurate le emissioni di CO₂ dallo spazio?
Il team ha calcolato le emissioni di CO₂ in 54 città sulla base di misurazioni satellitari dirette dell’atmosfera, invece di basarsi solo sui dati relativi al consumo energetico o alle attività urbane. A tal fine, hanno analizzato le informazioni raccolte tra il 2019 e il 2023 dal satellite OCO-3.
Alle misurazioni del biossido di carbonio hanno aggiunto i livelli di biossido di azoto (NO₂), rilevati dal satellite europeo TROPOMI, che sono serviti a confermare che le emissioni osservate erano correlate alle attività umane.
Il gruppo stesso spiega: “OCO-3 è dotato di un sistema di specchi che gli consente di scansionare aree specifiche e raccogliere misurazioni di CO₂ in colonne che coprono zone urbane, con una precisione inferiore a 1 parte per milione e una risoluzione spaziale di 2,25 per 1,6 chilometri”. Lo studio ha anche adeguato i risultati in base alle variazioni giornaliere e mensili e ha incluso l’analisi di possibili fonti di errore per garantire una maggiore certezza delle stime.
Come possono le città utilizzare questi nuovi dati sulle emissioni?

Lo studio dimostra che questo metodo può migliorare sostanzialmente l’accuratezza e la trasparenza degli inventari delle emissioni urbane. Nelle parole del team: “I nostri risultati sottolineano il ruolo crescente dei dati satellitari nella verifica delle emissioni urbane di CO₂ e nel sostegno agli sforzi per mitigare le emissioni nelle città globali”.
La ricerca consente anche di separare i fattori demografici ed economici che influiscono sull’impronta di carbonio di ogni città. Si conclude: “La nostra analisi dimostra che le emissioni di CO₂ pro capite misurate via satellite diminuiscono con l’aumentare della popolazione urbana”.
Per gli autori, il progresso delle misurazioni satellitari consente alle città di disporre di strumenti più precisi per monitorare le loro emissioni, adeguare le loro politiche climatiche e orientare gli investimenti verso azioni di impatto. Grazie a questo tipo di studi, i governi locali e gli organismi internazionali possono identificare dove esistono maggiori squilibri, ottimizzare il monitoraggio della CO₂ e progettare strategie di riduzione delle emissioni in linea con il profilo reale di ogni città.
