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Due fratelli chimici brevettano un metodo per riciclare miscele tessili con fino al 30% di elastan, recuperando monomeri e fibre senza generare rifiuti

In un piccolo laboratorio, due fratelli, Ra e Karim Medak, dottori in chimica, hanno deciso di affrontare un problema che continua ad affliggere il pianeta: il riciclaggio di tessuti misti a plastica come il poliestere. Il loro obiettivo non era da poco: creare un processo che non solo separasse i materiali difficili da recuperare, ma lo facesse anche in modo sostenibile ed efficiente.

Riciclare ciò che prima era irrecuperabile

È nata così Recyc’Elit, una startup francese fondata nel 2019 che è riuscita a sviluppare un metodo pionieristico per decomporre tessuti complessi in condizioni delicate: bassa temperatura, pressione atmosferica e alto rendimento. Una rarità in un settore in cui i metodi tradizionali richiedono solitamente alte temperature e processi aggressivi, con un forte impatto energetico e limitazioni sul tipo di rifiuti che possono trattare.

Cosa rende speciale questo processo?

Il cuore dell’innovazione risiede in un processo chimico di solvolisi di nuova generazione, che consente di decomporre tessuti composti principalmente da poliestere, anche quando sono mescolati con altri materiali come elastan, cotone o poliammide. La chiave sta nella sua versatilità: accetta rifiuti tessili che prima venivano inviati direttamente in discarica o all’inceneritore perché impossibili da riciclare.

A differenza di altre tecnologie, non richiede la separazione preventiva dei materiali, il che riduce i costi e semplifica la catena di riciclaggio. Inoltre, il processo non solo recupera i monomeri del poliestere (come il DMT e il MEG), ma consente anche di recuperare materiali secondari, come l’elastan, con un alto grado di purezza.

Ciò significa che il riciclaggio non si limita all’estrazione di una frazione utile: si riutilizza tutto, senza rifiuti pericolosi e con reali possibilità di reintrodurre ogni componente in nuove catene del valore.

Dai prototipi alla produzione: una scalata controllata

Nelle sue fasi iniziali, Recyc’Elit operava con un impianto pilota di appena 10 litri di capacità, equivalente a circa 1 kg di tessuto per lotto. Ma in meno di un anno, con il supporto di partner strategici come Ranger Green Tech, hanno ampliato il loro sistema fino a un impianto in grado di trattare 2 tonnellate di rifiuti tessili all’anno. Anche se può sembrare modesto, questo progresso rappresenta una pietra miliare: è la prova che il modello è scalabile, efficiente e replicabile.

Attualmente sono già riusciti a produrre diverse centinaia di chilogrammi di monomeri, che sono già stati ripolimerizzati per fabbricare nuovi filati tessili. In altre parole, vestiti nuovi da vestiti vecchi… senza compromettere la qualità o l’integrità del materiale.

E non si fermano qui. L’azienda sta già lavorando alla costruzione di un demostratore preindustriale, con una capacità molto maggiore, e si è prefissata l’obiettivo di lanciare un impianto pilota industriale entro la fine del 2028. Sarà una svolta se riusciranno a mantenere l’efficienza energetica e la purezza del prodotto su larga scala.

Una sfida ingegneristica… e di visione

Come in ogni progetto pionieristico, il percorso non è privo di ostacoli. La gestione della scalabilità tecnologica è una delle sfide più grandi: adattare la chimica di laboratorio all’ambiente industriale richiede una pianificazione costante, scenari multipli e capacità di adattamento.

La cosa interessante è che, nonostante la complessità, il team non si limita a sviluppare tecnologia: cerca di trasformare un intero modello produttivo. Non solo riciclano i tessuti, ma dimostrano che è possibile progettare processi circolari fin dall’inizio, con criteri ambientali come asse centrale, non come aggiunta finale.

Potenziale

Ciò che propone Recyc’Elit va oltre il riciclaggio. Questo tipo di tecnologie può cambiare la logica del consumo tessile, un settore che genera oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno nel mondo.

Alcuni punti chiave sul suo impatto futuro:

  • Drastica riduzione dei rifiuti tessili che oggi finiscono in discarica o vengono inceneriti.
  • Minore dipendenza dalle materie prime vergini, come il petrolio, per produrre nuovo poliestere.
  • Economia circolare reale nell’industria della moda, al di là del greenwashing.
  • Nuove opportunità di lavoro verde nei settori tecnologico e industriale.
  • Possibilità di replicare il modello in regioni con alti livelli di inquinamento tessile, come il Sud-Est asiatico o l’America Latina.
  • Tecnologia in linea con le strategie climatiche dell’Unione Europea, che mira a rendere tutti i prodotti tessili sul mercato circolari, durevoli e riciclabili entro il 2030.

In un momento in cui l’industria della moda fast fashion è sotto esame, soluzioni come questa mostrano un percorso concreto e misurabile per ridurre l’impronta ecologica del settore. Non si tratta di immaginare un futuro sostenibile: si tratta di costruirlo con scienza, volontà e azione.

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