Immaginate di poter guardare all’interno di un blocco compatto di terra risalente a 1.600 anni fa e vedere l’impronta perfetta di una scarpa, non grazie all’impronta della suola, ma grazie all’ombra metallica delle centinaia di chiodi che un tempo la sostenevano. Questo è esattamente ciò che è riuscito a fare un team di ricercatori, utilizzando la tecnologia a raggi X per svelare i segreti nascosti della vita romana in Britannia.
Gli archeologi britannici hanno ricostruito l’aspetto delle calzature romane grazie alla radiografia digitale

Un recente studio, pubblicato sul Journal of Archaeological Science: Reports, ha utilizzato radiografie digitali per analizzare otto blocchi di terra estratti da un cimitero romano-britannico a Canterbury, in Inghilterra. Questi blocchi, che contengono i resti di calzature con chiodi, hanno permesso agli archeologi di determinare il design, le dimensioni e persino i possibili motivi decorativi delle scarpe con cui i defunti sono stati sepolti, nonostante la pelle si sia completamente disintegrata nel tempo.
La ricerca, condotta da James Elliott della Canterbury Christ Church University e Adelina Teoaca del Canterbury Archaeological Trust, si concentra sul sito di 5-5a Rhodaus Town. Gli scavi effettuati nel 2019 prima di un’opera commerciale hanno portato alla luce 215 tombe, 51 delle quali presentavano tracce di calzature grazie alla presenza di questi caratteristici chiodi.
La traccia dei chiodi: quando la pelle scompare, il metallo rimane
In epoca romana, era pratica comune piantare piccoli chiodi nella suola dei sandali, delle scarpe o degli stivali. Non solo migliorava la trazione e la durata, ma seguiva anche le tendenze della moda che cambiavano nel corso degli anni. Questi chiodi, con la testa arrotondata e una punta che si piegava per fissare gli strati di cuoio, sono spesso l’unica cosa che rimane nelle tombe.
Il ritrovamento di chiodi durante gli scavi di tombe romane offre una visione affascinante delle abitudini di abbigliamento dei defunti, sottolineano gli autori. Quando se ne trovano in grande quantità e raggruppati ai piedi di uno scheletro, è ragionevole supporre che appartenessero a una calzatura.
Il problema sorge quando la pelle si è decomposta e i chiodi si sono spostati nel terreno, perdendo la loro disposizione originale. Per evitare ciò, gli archeologi utilizzano una tecnica chiamata “estrazione in blocco”: tagliano e sollevano la sezione di terreno che contiene gli oggetti fragili, stabilizzandola con gesso e una tavola di legno. Questo blocco può poi essere studiato attentamente in laboratorio.
È qui che entra in gioco la radiografia. Proprio come in un ospedale, dove i raggi X rivelano le fratture ossee, questa tecnologia può “vedere” attraverso il blocco di terra e mostrare la posizione esatta di ogni chiodo metallico.
Come strumento di ricerca non invasivo e non distruttivo, la radiografia è stata utilizzata per ottenere immagini della struttura interna di reperti archeologici, spiegano Elliott e Teoaca. In questo caso, il team ha utilizzato un sistema di radiografia digitale diretta, che consente di ottenere immagini di alta qualità, manipolare il contrasto ed effettuare misurazioni precise direttamente sul computer.
Il risultato è un’immagine in bianco e nero in cui i chiodi appaiono come punti bianchi ben definiti. Mappando la posizione di questi punti, i ricercatori possono ricreare la forma della suola, misurarne la lunghezza e la larghezza e identificare modelli specifici nella distribuzione dei chiodi.
Scarpe per l’eternità: modelli, mode e cronologia

L’analisi degli otto blocchi ha rivelato un totale di 545 chiodi. Sebbene alcune scarpe fossero molto frammentate o compresse, la radiografia ha permesso di identificare diversi modelli.
Il primo di questi, che i ricercatori hanno chiamato “Modello 1”, è composto da una singola linea di chiodi lungo il bordo della suola. Questo modello, secondo studi precedenti condotti in altri siti come Vindolanda (un forte romano nel nord dell’Inghilterra), è più comune nei periodi successivi dell’Impero Romano. Ciò coincide con la datazione generale del cimitero, attivo tra la fine del III secolo e la metà del V secolo d.C.
In un blocco molto frammentato della Tomba 136, i ricercatori hanno identificato un “Modello 2” caratterizzato da una doppia linea di chiodi sul bordo esterno. Sebbene questo modello compaia in piccole quantità in tutti i periodi, la sua presenza aggiunge un ulteriore dettaglio al repertorio di stili utilizzati nella comunità.
Anche la forma della suola è un indicatore cronologico. Lo studio ha rilevato che tre delle scarpe analizzate avevano una suola “larga e smussata”, tipica del III e IV secolo d.C. Un esemplare della Tomba 24, tuttavia, mostrava una forma “ondulata e appuntita”, più caratteristica della seconda metà del II secolo. Ciò suggerisce che il cimitero potrebbe essere stato in uso per un lungo periodo, o che alcuni stili più antichi fossero ancora in circolazione.
Chi indossava queste scarpe? Indizi su età, sesso e salute
Una delle applicazioni più interessanti di questa tecnica è la possibilità di dedurre informazioni sulla persona sepolta quando i resti ossei non sono stati conservati. Questo è stato il caso della Tomba 7, dove non è stato recuperato materiale scheletrico, ma la presenza di un gruppo di chiodi indicava che lì giaceva un adulto.
Quando non vengono recuperati resti scheletrici, il design o la distribuzione dei chiodi possono indicare sia il sesso biologico che lo status sociale, con calzature tipicamente più grandi per gli uomini e design robusti tentativamente collegati ad attività rigorose, affermano i ricercatori.
Le misurazioni della lunghezza (tra 22,7 e 29,2 cm) corrispondevano a quelle delle calzature per adulti. Tuttavia, correlare la dimensione della scarpa al sesso dell’individuo è complicato. Ad esempio, nella Tomba 117, la stima osteologica suggeriva che l’individuo fosse probabilmente una donna, ma la lunghezza della scarpa (~27 cm) si sovrapponeva alla gamma considerata tipicamente maschile. Gli autori avvertono che questa metodologia è affidabile solo per distinguere tra estremi, come neonati e adulti.
