In un mondo che ogni anno scarta 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti alimentari – secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) – pari a un terzo della produzione totale, la ricerca di soluzioni sostenibili è diventata un imperativo economico. In questo contesto, la microbiologia offre una risposta innovativa. La soluzione è innovativa perché propone un cambiamento di paradigma radicale: trasformare i rifiuti in valore. Il protagonista di questa rivoluzione è il fungo Neurospora intermedia, un organismo utilizzato da secoli nella cucina indonesiana per creare un alimento fermentato chiamato oncom a partire dalla polpa di soia. Oggi, grazie alla ricerca scientifica, questa muffa si profila come uno strumento industriale per rivalutare i sottoprodotti agricoli su larga scala.
Come agisce la “muffa arancione” sui rifiuti?
Attraverso un’analisi multi-omica, lo studio ha determinato che N. intermedia degrada efficacemente le pectine e la cellulosa durante la fermentazione, migliorando il contenuto proteico di sottoprodotti come l’okara del 12%. Inoltre, il fungo non produce micotossine, il che ne garantisce la sicurezza per il consumo in contesti globali al di là dell’Indonesia.
Un aspetto importante è che i risultati di un’analisi sensoriale condotta in Danimarca su oltre 60 partecipanti hanno confermato che i prodotti fermentati con N. intermedia sono stati ben accolti, descrivendoli come “terrosi” e “dal sapore di nocciola”. Ciò evidenzia il potenziale di questo fungo non solo per la creazione di alimenti sostenibili ma anche deliziosi, aprendo così nuove applicazioni per la fermentazione dei sottoprodotti nella produzione di alimenti nutrienti.
La magia dei funghi
Neurospora ha la capacità di decomporre materiali vegetali non digeribili dall’uomo, come la cellulosa e la pectina, e di convertirli in alimenti nutrienti e ricchi di proteine in sole 36 ore.
La sua versatilità è la sua principale risorsa commerciale: può crescere su oltre 30 tipi di rifiuti agricoli, dalla bagassa di canna da zucchero alla polpa di pomodoro e alle bucce di mandorle, senza generare tossine. Questo apre un nuovo mercato per i sottoprodotti che attualmente rappresentano un costo di gestione per l’industria alimentare, come gli scarti della produzione di latte d’avena o di soia.
La fattibilità di questo modello di business non è più teorica. Chef di fama mondiale stanno confermando il potenziale della Neurospora nel segmento dell’alta cucina, un mercato che spesso anticipa le tendenze del consumo di massa.
A Copenaghen, il ristorante Alchemist, con due stelle Michelin, ha sviluppato un dessert in cui il fungo trasforma una insipida crema di riso in una prelibatezza con note fruttate di banana e ananas. A New York, il ristorante Blue Hill ha creato piatti come un pane di riso ammuffito che, una volta fritto, emula il sapore e l’aspetto di un panino al formaggio grigliato.
Molto più di un buon piatto
Da un punto di vista macroeconomico, le implicazioni sono enormi. L’adozione di questa tecnologia su scala industriale potrebbe ridurre drasticamente lo spreco alimentare e, con esso, le emissioni di metano associate alle discariche.
Lo studio di Hill-Maini ha anche rivelato l’esistenza di ceppi di Neurospora “addomesticati”, geneticamente adattati per crescere nei rifiuti generati dall’uomo, suggerendo un processo di coevoluzione che può essere ottimizzato per la produzione industriale.
In definitiva, questo fungo non solo offre una soluzione alla crisi dei rifiuti, ma ridefinisce i rifiuti come una materia prima preziosa, gettando le basi per un’economia veramente circolare e aprendo un nuovo e promettente settore di investimento nell’industria alimentare.