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Gli scienziati scoprono le mummie più antiche conosciute al mondo: hanno 12.000 anni e non sono egiziane

Il ritrovamento in siti archeologici del sud-est asiatico anticipa di migliaia di anni l’inizio di questa pratica funeraria; i resti sono stati conservati con fumo e calore.Gli scienziati hanno identificato nel sud-est asiatico resti umani mummificati risalenti a 12.000 anni fa, che li rendono i più antichi conosciuti finora in tutto il mondo.

La mummificazione è nata in Asia: i cacciatori-raccoglitori che anticiparono l’Egitto di 5000 anni

La scoperta, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, anticipa di quasi cinque millenni l’inizio della pratica e sostituisce un rituale che fino ad ora era associato all’Egitto.

Per decenni, le mummie più antiche riconosciute dall’archeologia erano quelle della cultura Chinchorro, un popolo di pescatori che abitava l’attuale zona settentrionale del Cile e meridionale del Perù circa 7000 anni fa.

Nell’immaginario collettivo, tuttavia, le mummie sono rimaste legate al nord-est dell’Africa, dove l’imbalsamazione è diventata un’arte sofisticata circa 3500 anni fa.

Il nuovo studio costringe a rivedere questa cronologia: i ricercatori sostengono che gruppi di cacciatori-raccoglitori nel sud-est asiatico già praticavano forme complesse di conservazione dei cadaveri molto prima.

Le analisi hanno riguardato 54 sepolture pre-neolitiche localizzate in 11 siti archeologici in Cina, Vietnam, Filippine, Laos, Thailandia, Malesia e Indonesia. Tra i più importanti figurano Huiyaotian e Liyupo.

Lì hanno trovato crani bruciati e numerosi corpi in posizione accovacciata. In tutti questi casi, i resti sono stati accuratamente preparati, il che esclude morti accidentali o incendi fortuiti.

Studiando le ossa, i ricercatori hanno rilevato alterazioni chimiche e scolorimenti compatibili con una prolungata esposizione ad ambienti fumosi e a basse temperature. Si stima che circa l’84% dei campioni presentasse questi segni, mentre diversi campioni presentavano tracce di fuliggine.

Queste prove hanno portato gli esperti a concludere che i corpi sono stati deliberatamente affumicati e essiccati per rallentarne la decomposizione e mantenerli intatti più a lungo.

L’antropologo Hirofumi Matsumura, dell’Università Medica di Sapporo in Giappone e autore principale dello studio, ha sostenuto che questa pratica permetteva di “mantenere connessioni fisiche e spirituali con gli antenati”.

Secondo i ricercatori, queste comunità vedevano la morte come un momento di continuità sociale e culturale, e non come una rottura, il che spiegherebbe l’investimento di tempo e risorse nella conservazione dei defunti.

La scoperta ha anche un valore comparativo: mentre le mummie egizie erano il prodotto di una civiltà altamente organizzata e gerarchica, quelle scoperte in Asia appartengono a società di cacciatori-raccoglitori che, nonostante la loro apparente semplicità materiale, svilupparono pratiche simboliche molto elaborate.

Sebbene possa sembrare un rituale lontano, la mummificazione non è scomparsa. Anche in tempi moderni, i popoli dell’Australia e della Papua Nuova Guinea continuano a preservare i loro morti mediante l’affumicatura e l’essiccazione, il che rafforza l’idea che questa pratica, lungi dall’essere eccezionale, fa parte di un patrimonio culturale di lunga durata.

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